Archeologia immaginariaPDFscarica il PDF

2010 - 2012
opere fotografiche di PAOLA CREMA
archeologia immaginaria

“Soltanto le parole rompono il silenzio, tutto il resto tace”, scrisse Samuel Beckett.
Sinuose figure affiorano come Ofelia dall’acqua. Volti dalle labbra sensualmente semichiuse, plasmate da una mano esperta e vibrante, tornano magicamente a nuova vita. La cosiddetta “archeologia immaginaria” di Paola Crema è un’operazione intellettuale che ci fa assaporare il procedimento, laborioso e sorprendente, del ritrovamento archeologico come momento irripetibile. L’osservatore non viene lasciato davanti al prodotto finito, mero oggetto da esposizione, ma al contrario la sua fantasia viene coinvolta in un procedimento complesso di rimandi culturali; in esso, le sculture non sono più solo oggetti, ma diventano parte di un progetto artistico più articolato, dietro al quale c’è la profonda riflessione di Paola Crema. Infatti, in questo filone della sua produzione artistica, la fotografia è in dialogo con la scultura, scultura provvisoria che lascia spazio all’immagine bidimensionale. L’artista da vita a un’operazione culturale intrisa di richiami, che mette assieme vari mezzi espressivi, dalla scultura all’incisione, alla fotografia, alla performance.
In queste opere, il gesto artistico non risiede soltanto nella lavorazione del metallo, avvenuta prima, ma anche nella creazione di un set fotografico che poi viene distrutto, lasciando uno strascico impresso nella nostra memoria oltre che sulla pellicola fotografica. La fotografia assume in questo contesto il valore di memoria e testimonianza della performance. Si mettono a confronto due medium identificativi di secoli diversi, l’archeologia e la fotografia, rispettivamente simboli dell’antichità e dell’epoca della riproducibilità tecnica.
Dialogo tra antico e contemporaneo; sinergia tra paziente e lenta elaborazione tecnica e gesto istantaneo dello scatto fotografico. Il tempo si è fermato nell’istante del ritrovamento, echi lontani e vibrazioni della materia suggeriscono all’artista la presenza di una forma sotto lo strato di intonaco. La provvisorietà di questi set fotografici, che vengono distrutti dopo essere stati immortalati, dà il valore della fruizione dell’attimo, dà l’idea di quanto breve sia la scintilla. L’atmosfera contemplativa e di sospensione che regna in queste opere suggerisce un senso di atemporalità, come se nel quotidiano di ognuno di noi, dalle strade che percorriamo ogni giorno, potessero emergere all’improvviso testimonianze nascoste.
L’arte della poliedrica artista toscana è caratterizzata da virtuosismo tecnico, composizioni appositamente orchestrate, stratificazione di significati e valori, versatile immaginazione. Con la sua “archeologia immaginaria”, Paola Crema sa indagare il vasto potenziale della fotografia, legato non solo al suo carattere visivo, ma anche a quello concettuale che si esplica in dimensioni extrapercettive: dalla memoria alla sfera del tempo, dal voyerismo alla sublimazione dell’attimo. In effetti, il medium fotografico allarga le nostre facoltà percettive, aumenta la fruibilità dei suoi soggetti.
Degna della qualità orafa del meraviglioso Benvenuto Cellini – che su questa nobile arte scrisse anche un Trattato datato 1565 –, non ci rivela soltanto la sua perizia tecnica, in questo filone archeologico. Già nelle sue sculture, dal Minotauro a Febe, la Crema esplicita la capacità di lavorare i metalli, la finezza di incarnati dal vigore michelangiolesco e da zone volutamente lasciate allo stato grezzo, ruvide, granulose, non finite.
Gli scavi immaginari vogliono sollecitare l’interesse dell’osservatore, anche su passaggi che solitamente non si colgono, sull’emozione di ritrovare preziosi brani di storia, sulla sensazione di rimuovere delicatamente con un pennello gli intonaci e i residui terrosi e gessosi da visi e corpi di metallo, fuoriusciti come epifanie preziose. Non sono manufatti che si rifanno espressamente ad un periodo dell’arte antica, sono testimonianze di un perduto mondo immaginario, con un’estetica a sé stante e peculiare. Corpi e volti sbalzati che riaffiorano dal terreno e tornano a nuova vita, grazie alla forza della luce che torna ad investire queste superfici plasmate con perizia. La capacità tecnica è eccezionale così come la cultura e la passione dell’antico. Raffinata sensibilità, cura dei dettagli, sensualità delle superfici bronzee sulle quali scintillano vibrazioni di vita.
Seducono le suggestive bocche seminascoste che tentano di respirare, nonostante siano soffocate da stratificazioni di materia che simula il danneggiamento degli agenti atmosferici, il logorio e i morsi del tempo, irregolarità che l’artista crea nei profili e nei bordi delle sculture e dei rilievi.
Quella di Paola Crema costituisce un’importante ricerca plastica sulla tensione dei corpi nel tentano di uscire e ai quali viene data nuova vita: l’arte salvifica fa emergere dalle profondità della memoria e risveglia un atavico respiro di vita.
 

Silvia Rebecchi
 

Che cos’è l’Archeologia Immaginaria di Paola Crema?

È il frutto di un gioco intellettuale teso a farci credere che le sculture da lei realizzate sono in realtà reperti riemersi da un “continente perduto”.

Figure di miti sconosciuti, dei ignoti, metamorfosi, ibridi, sembrano giungere a noi da un passato lontanissimo.

Ed il gioco è ancora più complesso nelle sue opere fotografiche, nelle quali “documenta” l’attimo del ritrovamento, mentre in realtà il set, distrutto subito dopo aver effettuato la ripresa, è ottenuto usando quelle sculture da lei stessa prima realizzate.

Un intrigante gioco di specchi con molteplici rimandi.

Archeologia immaginaria